Camminavo
da sola in una vecchia strada, muta e sorda, assaporando il silenzio che sapeva
di quiete. D'un tratto le nubi che coccolavano la luna decisero di allentare la presa, concedendomi una
carezza di luce sopra le onde dei miei capelli increspati. Fino a cadere ad un
passo dalla mia vista serena, portandola a posarsi sopra un fagotto che,
nascosto in un angolo, si muoveva agitato. Mi avvicino tranquilla senza paura pur
senza toccare, per prudenza dovuta. Mi sbuca una testa, una testa piccina che
mi guarda curiosa. "Chi sei, donzella, che attraversi la via del
silenzio?" " Non sono nessuno, passavo per caso e ho trovato la pace
che desideravo da tempo, non posso?" Mi guardava guardinga ma senza
parlare, così richiesi decisa per aver conferme: "Non posso passar dentro
la quiete, è perché t'appartiene? E' la
tua quiete? Non voglio rubarla voglio solo assaggiarla, è peccato?"
"Di
parole ne ho poche, sono tutte sepolte per questo è silenzio di calma che non
va sciupata, avanza veloce e rispetta all'estremo perché questo silenzio non è
senza tempo"...
Allora
lascio il fagotto e la testa piccina e mi avvio, ora inquieta verso un uscio
socchiuso. La luce all'interno era multicolore, il silenzio era forte, con un odore
intaccato...
Ed ecco
una scala che nel ventre mi porta, urla convulse mi strappan la quiete, atroce
la fiamma che le avvolgono strette ma a me, nel passaggio, neppure mi vede, le
guardo bruciare sotto i miei occhi straziati, son solo parole che ardono al
vuoto, son quelle parole quelle che nessuno mai vorrebbe ascoltare.
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