Camminavo
fra sentieri ombrosi, mentre declivi ossuti soffocavano il passaggio e
l'aria s'addensava irriverente come nebbia d'ovatta, a frenar il mio
vagare. Raro era il respiro che mi donava.
Anche il buio incalzava sempre più preponte, come ghiaccio sopra ai monti innevati, per rendere ancor più faticoso l'avanzare.
Mi arrampacai come destata dall'idea che al di là di quelle irte pareti ci fosse il mare e che, col suo ondeggiar, sciogliesse il vento, per levar il cupo denso in cui ero entrata.
Mi arrampicai. Tra il liscio pietra e la rovinosa terra, tanto che
caddi ma mi arrampicai ancora. Tra il faticar e lo scivoloso sudor
sanguineo che dalle ferite usciva e caddi di nuovo, ma continuai ad
arrampicarmi, fin sulla cima di quegli opressori che a strapiombo,
cadevan sopra i miei piedi stanchi, mi arrampacai fino alla fine di
quell'ombre ottenebranti che mi assorbivano l'aria rendendola falsa.
Non v'eran più ossa a sbarrarmi lo sguardo, non v'era più l'ombra a ghiacciarmi i polmoni.
Mi accolse un raggio di sole, come un abbraccio per ridarmi colore e
l'onde del mare a donarmi il sapore, incontrai anche i vento ad offrirmi
un sospiro e l'orizzonte a dedicarmi il calore.
Non v'è salita che non costi fatica, non è mai vana se poi porta alla vita!
Nessun commento:
Posta un commento