Spostai la tenda della
finestra della camera da letto. L’unica che guardava direttamente sulla
terrazza, non l’avevo mai notato prima, puntava direttamente sull’angolo più
curato con le piante più verdi e rigogliose, sembrava fatto apposta.
Al centro del vetro si
mostrava fiorito, come mai prima di allora, il vaso di rose rosse mentre un
raggio di sole infiltrato dai condomini circostanti le illuminava come voler
farle scintillare evidenziando ancor di più la loro fioritura.
Chiusi all’istante le tende,
per nasconderle velocemente, girandomi di scatto verso mia madre morente nel
letto.
Ricordai le sue parole e mi
si strinse il cuore:
“Non posso andare da nessuna
parte, non ho ancora visto fiorire le mie rose!” Non riuscì a dirglielo.
Era l’ultimo giorno di
aprile.
Erano giorni che non riusciva
più a parlare o semplicemente a muoversi, oramai la bestia dentro di lei aveva
preso il sopravvento su tutto, restava soltanto un involucro cosciente di ciò
che l’aspettava.
Morì il giorno dopo in una
mattina di sole splendente e tiepida quel tanto che basta a scaldarti l’anima, al
contrario la mia raggelava, anche se avevo fatto di tutto per non farle
salutare le sue belle rose fiorite. Avevo solo vent’anni.
Fece la sua prima operazione
cinque anni prima per un melanoma al seno, poi fu lo stomaco ad esser aperto
per tentare di eliminare il Male, mesi di terapie, di pastiglie, esami. Un
calvario dietro l’altro fino ad arrivare al fegato ad esser tagliuzzato… nulla, se n’è andata.
E intanto il gelo persisteva,
in un giugno così caldo da riuscire a scogliere l’asfalto, io ghiacciavo
dentro.
In una notte piena di stelle
che solcavano il cielo lasciando un alone fluorescente al loro passaggio
sognai.
Ero tornata piccola, nella
mia vecchia casa dove ho passato tutta la mia adolescenza. Percorrevo il lungo
corridoi che dall’entrata accompagnava alla zona notte, guardai la mia camera
passando davanti alla porta, feci in tempo a vedere il letto a castello con le
mie lenzuola sempre arruffate per poi voltarle le spalle ed entrare nella
camera dei miei genitori. Mio padre non c’era, il letto era disfatto come se ci
avessero dormito dentro.
Il piumone dai colori tenui e
rassicuranti, aveva una strana forma a spirale dalla quale spuntava solo un
viso. Era mia madre.
Mi avvicinai titubante al suo
cospetto per darle modo di vedermi, lei mi chiamò, ed io presi coraggio:
“Mamma!” Lo dissi sottovoce
anche un po’ impaurita ma continuai: “Stai bene adesso?”
“Si, ora sto meglio.” E mi
sorrise.
Mi svegliai di soprassalto
senza però esser spaventata, ero solo tutta sudata.
Oggi? Oggi vivo in un’altra
casa, sono sposata, ho dei figli, ma la notte dormo ancora col piumone che ho
preso dalla casa dei miei genitori. È il
mio calore nella notte.
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